19/10/08

La prima apparizione degli Estranei

[...]
Dalle tenebre della foresta emerse un'ombra che andò a fermarsi di fronte a ser Weymar. Una sagoma alta, scavata, dura come vecchie ossa, la pelle livida che pareva d'alabastro. Ogni volta che si muoveva, la sua armatura sembrava cambiare colore: un momento appariva candida come neve appena caduta, il momento dopo era nera come una caverna. Il tutto andava a mescolarsi, a compenetrarsi con lo sfondo grigio-verde degli alberi inun sinistro caleidoscopio che mutava ad ogni passo, simile ai raggi della luna su acque agitate.
Will sentì Royce esalare un largo sibilo.
"Non avvicinarti oltre" intimò il giovane, la voce incrinata come quella di un ragazzino spaventato.
Si gettò dietro le spalle le falde della cappa d'ermellino liberando le braccia e preparandosi al duello, entrambe le mani strette attorno all'impugnatura della spada. Il vento aveva cessato di soffiare. L'aria era di ghiaccio.
L'Estraneo continuò ad avanzare senza rumore. Nella destra aveva una spada lunga, diversa da qualsiasi altra Will avesse mai visto. Nessun metallo noto all'uomo era stato usato per forgiare quella lama. No, nessun metallo, infatti: la lama era di cristallo. Pareva un'entità vivente, talmente sottile da svanire quando la si guardava di taglio. Emanava una luminescenza azzurra, un alone spettrale che si faceva indistinto ai bordi. E Will sapeva che quei bordi erano più affilati di quelli di qualsiasi rasoio.
"Vuoi danzare?" Ser Royce affrontò l'avversario con coraggio. "Allora danza con me".
Sollevò la spada sopra la testa, pronto al duello. Le sue tremavano, forse per il peso dell'arma o forse per il freddo. Eppure in quell'istante, will non ebbe dubbi: ser Royce aveva cessato di essere un ragazzo ed era diventato un uomo, un vero guerriero dei Guardiani della Notte.
L'Estraneo si fermò. Will vide i suoi occhi. Erano azzurri, di un azzurro molto più profondo e intenso di quasiasi occhio umano, un azzurro in grado di ustionare come il morso del ghiaccio. Queglio occhi si soffermarono sulla lama della spda levata, sui freddi riflessi  che la luce della lama traeva dall'acciaio. Per un breve istante, Will osò dare spazio alla speranza.
[...]
Royce giaceva nella neve, faccia in sotto, un braccio disteso di lato. La spessa pelliccia di ermellino era squaricata in una decina di punti. Povero corpo non di un uomo ma di un ragazzo: adesso si vedeva bene. A qualche passo di distanza c'era quanto restava della sua spada, la punta ridotta a un moncone frastagliato, simile ad un albero colpito in pieno da una folgore. Will s'inginocchiò, gettò attorno a se un'occhiata guardinga, quindi afferrò la spada. Così spezzata sarebbe stata la prova necessaria.
Will si raddrizzò.
Ser Royce si alzò in piedi, sovrastandolo. I suoi abiti eleganti erano ridotti a stracci insanguinati, il volto era devastato. Nell'occhio sinistro era conficcata una scheggia della spada distrutta.
L'occhio destro era spalancato. La pupilla era accesa da una fiamma di luce azzurra. In grado di vedere.
Le dita di colpo inerti di Will lasciarono cadere la spada spezzata. Chiuse gli occhi e cominciò a pregare. Mani lunghe, affusolate, eleganti, salirono ad accarezzargli il viso, poi si strinsero attorno alla sua gola. Erano coperte del più soffice camoscio e appiccicose di sangue, ma al tocco erano gelide come ghiaccio.

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